Il pastore evangelico Silas Malafaia è stato fermato dagli agenti federali all’aeroporto Galeão di Rio de Janeiro il 15 gennaio 2025. Questo intervento è avvenuto nell’ambito di un’operazione disposta dalla Corte Suprema del Brasile. Malafaia, noto per il suo sostegno all’ex presidente Jair Bolsonaro, ha subito il sequestro del suo telefono portatile e il ritiro del passaporto, con l’imposizione di un divieto di viaggio all’estero. Il giudice Alexandre de Moraes ha stabilito che il leader religioso non può comunicare né con l’ex presidente né con uno dei suoi figli, Eduardo Bolsonaro.
Reazioni del pastore
Durante un’intervista con i giornalisti, Malafaia ha espresso il suo disappunto per quanto accaduto. “Che democrazia è questa? Mi hanno sequestrato il passaporto. Non sono un criminale. Mi hanno sequestrato il telefono. È una vergogna. Non mi zittirò, dovranno arrestarmi per zittirmi”, ha dichiarato il pastore, visibilmente contrariato.
Implicazioni politiche
Il pastore si trovava all’aeroporto di Rio de Janeiro dopo essere arrivato da un volo proveniente dal Portogallo, quando è stato fermato dalle autorità. Questo episodio ha sollevato interrogativi sul rispetto delle libertà civili e sulla libertà di espressione in Brasile, in un contesto politico già teso e polarizzato. La decisione della Corte Suprema di limitare le comunicazioni di Malafaia con figure politiche di spicco come Bolsonaro riflette le crescenti preoccupazioni riguardo alla sicurezza e all’influenza di certi leader religiosi nel panorama politico del paese.
Relazione tra religione e politica
La situazione di Silas Malafaia rappresenta un ulteriore capitolo nella complessa relazione tra religione e politica in Brasile, dove i leader religiosi spesso giocano un ruolo significativo nelle dinamiche elettorali e nelle decisioni governative. La reazione del pastore e le sue affermazioni pongono l’accento su un tema cruciale: la libertà di parola e il diritto di esprimere opinioni politiche senza timore di ritorsioni.